Abbiamo visto che l’Articolo 175 che condannava l’omosessualità maschile non prendeva in considerazione quella femminile. Il lesbismo non era considerato dalle autorità una minaccia o un “sabotaggio socio-sessuale” dei fondamenti del Terzo Reich, perciò, a patto che non dessero pubblico scandalo le lesbiche non furono formalmente perseguitate. D’altro canto la condizione femminile nella Germania pre-nazista era tale che alle donne era vietato aderire a partiti od organizzazioni politiche. Fu per questo che, anche negli anni nei quali il movimento omosessuale ebbe maggiore forza, le lesbiche si limitarono a frequentare i locali della Berlino omosessuale senza esporsi ad un impegno politico palese.
Ciononostante alcuni luoghi di ritrovo lesbici a Berlino come il “Dorian Gray” e il “Flauto Magico” divennero luoghi nei quali l’omosessualità femminile incominciò a organizzarsi. Spuntarono opere letterarie che fecero un certo scalpore come “Frauenliebe” (“Amore femminile”) e “Die Freundin” (“L’amante donna). Già nel 1928 a causa della reazione conservatrice gli spazi di libertà per le lesbiche vennero a restringersi: con l’avvento del nazismo anche questi limitati spazi di “libertà” scomparvero. La censura si abbatté sulle pubblicazioni “immorali”: “Die Freundin” venne messo all’indice in base alla “Legge sulla protezione della gioventù dalle pubblicazioni oscene”, vi furono richieste in parlamento di una legge che perseguisse esplicitamente il lesbismo e numerosi attacchi sulla stampa vennero dal più impegnato conservatore dell’epoca su questo fronte: Erhard Eberhard che sostenne che il movimento per i diritti civili delle donne era un movimento di facciata per promuovere la corruzione dei costumi femminili in Germania.
Quando nel 1933 i nazisti arrivarono al potere proprio in virtù della loro convinzione che la donna fosse inferiore all’uomo, si disinteressarono al problema. Ciò non significò che essere lesbiche fosse consentito come stile di vita. All’indomani della presa del potere i nazisti chiusero tutti i locali di ritrovo e crearono un clima di costante timore incoraggiando le azioni di polizia e le denunce anonime contro le lesbiche. Bastava la lettera anonima di un vicino di casa per ritrovare alla propria porta la Gestapo.
Molte lesbiche cambiarono città per rompere i legami con i circoli che avevano frequentato, altre si sposarono con omosessuali maschi per ridurre la loro visibilità. Ciononostante i nazisti continuarono a sorvegliare con particolare attenzione le lesbiche. Se anche l’omosessualità femminile non era considerata un reato esplicitamente vietato dalla legge, le lesbiche vennero ugualmente perseguitate non in quanto tali ma in quanto “asociali”. Così ufficialmente non vi furono arresti per lesbismo ma per comportamenti personali contrari all’ideologia nazista. Nei campi di concentramento le lesbiche non furono catalogate come omosessuali ma come pervertite alla stessa stregua delle prostitute.
Questa distinzione era marcata dal fatto che per esse nei campi vi fu l’obbligo di indossare il triangolo nero, simbolo delle prostitute. Si deve aggiungere che la politica del lavoro nazista danneggiò ulteriormente le lesbiche. Poiché il lavoro femminile era guardato con sospetto e i posti di responsabilità negati alle donne, le lesbiche – perlopiù non coniugate – si trovarono a dover combattere con drammatici problemi economici. La mancata persecuzione esplicita del lesbismo non toglie nulla alla repressione generalizzata che queste persone subirono ed al clima di paura nel quale vissero per tutta la durata del regime.